29 settembre 2006

notti d'estate #03


«sai, ti credevo un amico. veramente.».
calde volute di fumo si alzavano dalle dita ingiallite per il vizio, e i bicchieri sul tavolino del bar non erano più pieni di birra da anni ormai, sostituiti dallo scotch in quelle umide serate di fine estate.
«non sono mai riuscito a capire il tuo gesto.».

«pazzia, direbbe qualcuno» disse l'avventore ignoto, soffiando via una boccata, «o invidia. in realtà, non lo so neanche io. se ti può consolare, sappi che anche io ti consideravo un amico.»
hannibal guardò l'avventore ignoto, ed una risata gli risalì lo stomaco, ma solo per fermarsi appena prima delle labbra.

e non seppe più cosa dire. era la prima volta, nella sua lunga vita che gli capitava di rimanere senza parole. provava un dolore all'altezza del cuore, come se qualcosa gli fosse stato strappato via, senza anestesia e senza permesso, una cosa di importante, ma che non riusciva a concretizzare. un mare di emozioni indefinite, ma negative, mugghiava e rombava dentro di lui, ma non riusciva ad esternalizzarle. stava lì, fissando inebetito l'avventore ignoto, e non riusciva a darsi pace. pace del dolore provato, del non sapere cosa fare e dire, del trovarsi di fronte alla montagna che l'uomo di fronte a lui rappresentava.

e capiva di non riuscire a prendersela più di tanto, perché dall'altra parte mancava la consapevolezza di ciò che era stato fatta. un senso di impotenza che lo rodeva fino alle ossa.

e l'avventore ignoto cominciò a trasformarsi, diventando fantasma di sé stesso e di tutte le cose che hannibal non era mai riuscito a controllare, le ingiustizie patite e i torti subiti. ed un urlo, un singolo urlo che veniva da un'anima in pena salì, quasi a guisa di liberazione e catarsi, e proruppe dalla sua gola, con una potenza inaudita.

era un urlo ferino nella sua sincerità e primordialità. con rabbia, e quel giorno hannibal si rese conto del vero significato di quella parola, prese il tavolino del bar e lo scagliò con forza contro l'avventore ignoto. che si dissolse. un'ombra fugace di un gatto, una goccia di sudore nell'occhio riportarono hannibal alla dimensione reale.

come al solito parlava da solo. e ai suoi mulini a vento.

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